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venerdì 5 gennaio 2018

Lo Zelten il dolce della Tradizione del Solstizio d'Inverno che si mangiava il 6 gennaio






Dal Trentino al Tirolo passando per il Sudtirolo, il Tempo del Solstizio d’Inverno significa a livello di dolci tipici lo Zelten. Lo Zelten viene preparato diversamente a seconda delle zone di appartenenza ed è fondamentalmente un dolce della tradizione contadina montana. In Tirolo assume la forma di un panpepato allungato di frutta secca e miele, in Trentino viene fatto con farina bianca 00 e meno frutta della versione sudtirolese, che invece è fatta con farina integrale, frutta secca, fichi, noci, mandorle e talvolta anche liquore. Le varianti sono tantissime come le famiglie dove d’abitudine viene preparato e che custodiscono ognuna un proprio piccolo segreto per renderlo unico. Le prime testimonianze documentali di questo dolce appartengono al 1700, dove in un manoscritto conservato presso la Biblioteca di Rovereto scopriamo che veniva già prodotto in epoca medioevale, quando probabilmente le sue origini parlavano di un ancor più antico passato. L’etimologia della parola Zelten (o celteno) ci riporta al termine ‘Selten’ che in Tedesco significa ‘raramente-talvolta’e che evidenzia come la sua produzione avvenisse solo per le festività natalizie. Ma leggendo di questo profumatissimo pandolce speziato, cosa mi hanno colpito, sono state le tante indicazioni che lo legano al Culto della Dea Madre nella sua manifestazione del freddo e del’inverno. Questo periodo dell’anno è legato sin da tempi antichissimi a Holda, denominata anche Hulda, Berchta, Perchta, Frau Holle, Stempa, nomi diversi per la stessa emanazione sacra. Ma andiamo ad analizzare i simboli di questa prelibatezza. Oggi lo Zelten viene prodotto sia in forma quadrata o rettangolare che di cuore, ma la sua forma originaria fu e rimane quella circolare. 





Il primo pensiero vedendolo è quello del disco solare su cui spesso mandorle disposte in un particolar modo sembrano disegnare raggi che riportano alla memoria un sole splendente o ancora sempre mandorle disposte a forma di fiore, come a richiamare attraverso il sole il risveglio della fioritura della natura. La tradizione più autentica vuole che venga prodotto il 21 di dicembre esattamente in concomitanza con il Solstizio d’Inverno, giorno oggi dedicato a San Tommaso, per essere consumato successivamente. 





La preparazione avviene con i componenti della famiglia, uomini e donne, in passato insieme ai dipendenti agricoli tutti, sebbene la ritualità legata a questo dolce viene eseguita solo dalle donne. Ci si trova quindi intorno al tavolo della Stube per tagliare a piccoli pezzetti la frutta secca che costituirà la parte principale del pane, una volta finito di amalgamare l’impasto le dipendenti agricole, uscivano dalla Stube con le mani ancora imbrattate per andare ad abbracciare un albero da frutto posto all’esterno dell’abitazione. In questo gesto vi è chiaramente il ‘sacrificio’ di parte dell’impasto che viene condiviso con gli alberi, quanto il buon auspicio dell’offerta fatta. Le mani sono ancora piene di un impasto ricchissimo di frutti, cingendo l’albero è come ripassargli la ricchezza che ha prodotto, che è stata raccolta e che ora viene impiegata come nutrimento. L’abbraccio rappresenta così la gratitudine, ma anche la fiducia che quella ricca produzione torni con la nuova stagione, e quell’albero che ha sfamato ed attraverso i cui frutti si sta onorando la nascita del Nuovo Sole torni proprio grazie al Sole ad essere rigoglioso e carico. L’abbraccio diventa scambio, ricordo, riattivazione delle energie sopite. Sempre in concomitanza con il Solstizio d’Inverno vi erano tre tradizioni che le giovani ragazze seguivano per sapere chi le avrebbe sposate nell’anno a venire, la domanda veniva fatta a San Tommaso, quesito che in tempi pre-cristiani sicuramente era posto alla Dea Holda/Berchta che era la Divinità preposta anche alla divinazione in questo periodo dell’anno, la notte del Solstizio infatti, Holda veniva invitata in casa calandosi dal camino nella speranza che la sua presenza desse indicazioni sul futuro. Si chiedeva di venire a conoscenza del nome del futuro sposo estraendo a sorte un bigliettino, uno fra i tanti, su cui erano state scritte le lettere dell’alfabeto. La lettera estratta sarebbe stata l’iniziale del nome di colui che il fato aveva messo sulla strada della giovane ragazza. Altra tradizione tipica era andare a letto mettendo accanto al giaciglio, uno sgabello di legno. Anche in questo caso veniva chiesto a Dea Holda/San Tommaso di fare comparire in sogno seduto su quello sgabello l’immagine di colui che si sarebbe innamorato della fanciulla nell’anno che stava per iniziare. Il terzo metodo è forse quello che mi ha incuriosita di più in quanto si può definire alchemico. Le ragazze in cerca del fidanzato, usavano del piombo fuso fatto colare su acqua per poter dedurre la sagoma del volto del futuro innamorato. Innanzitutto ho pensato ai colori, il piombo è grigio/argenteo e la neve ed il ghiaccio sono solo cristalli di acqua e richiamano fortemente i panorami invernali di questi luoghi, che non sono del resto, di colore bianco/grigio ghiaccio nel Tempo del Solstizio invernale? Quindi da un punto di vista cromatico il richiamo a questa stagione è evidente ma c’è di più, a livello alchemico l’Acqua è associata al Mercurio originale ed alla Luna, evidenziando un altro chiaro elemento legato al Culto Femminile. Ma ritorniamo alla preparazione iniziale, una volta data la forma, il pandolce è pronto per il fuoco e la cottura, e la proprietaria della casa, lo benedice con acqua santa prima di introdurlo nel forno. La benedizione con acqua santificata insieme alla fumigazione con erbe raccolte il 15 agosto e l’8 settembre (due date a livello cattolico legate all’Assunta ed alla nascita di Maria, ma che vanno a stratificarsi su precedenti feste come ad esempio il 13 agosto legato alla Dea italica Diana), viene ripetuta tre volte, prima di consumarlo con tutta la famiglia solo il 6 gennaio : la vigilia di Natale, quella di Capodanno e quella del Berchtentag - Giorno di Berchta il 6 gennaio appunto. I quattro elementi sono quindi tutti rappresentati: lo Zelten-Terra, il forno della cottura- Fuoco, la benedizione–Acqua e la fumigazione-Aria. Ma i quattro Elementi vengono anche richiamati dal tracciare sempre ad opera della proprietaria della casa, una croce sullo Zelten stesso, finita la sua produzione. La croce nel cerchio, il potere delle direzioni e dei relativi elementi richiamato all’interno del Disco Solare, riporta chiaramente alla croce celtica. Lo Zelten veniva così conservato nella segale, per mantenerne la freschezza e non farlo diventare troppo duro. Le forme più piccole venivano regalate ai dipendenti, la forma più grande era per la famiglia contadina e veniva condivisa intorno al tavolo della Stube, proprio il giorno successivo alla notte in cui Berchta-Perchta con il suo passaggio conclude le Dodici Notti Sante segnando il termine del periodo del Buio, iniziato la notte del 31 ottobre con la celebrazione di Samhuinn-Samhain, e lasciando così spazio al Tempo che vedrà piano piano la luce aumentare e che ci condurrà verso Imbolc-Lichtmess-Candelora.  




Ancora due curiosità: piccoli dolci di marzapane a forma di scrofa, talvolta insieme a gruppi di piccoli maialini, si acquistano e regalano in queste feste che volgono al termine come portafortuna, alcuni addirittura li collezionano. 





Ed in passato il mercato dei maiali si teneva in concomitanza con il giorno più breve dell’anno, quello del Solstizio d’Inverno. Sappiamo che i maiali ed in particolare la scrofa è legata ad una Dea, altra Regina del Tempo del Buio, la gallese Ceridwen, quindi anche in questo caso possiamo leggere nella scelta di tenere il mercato dei suini il giorno più corto dell’anno, un chiaro significato simbolico legato a questo animale. Ma intanto è quasi arrivato il momento di gustare lo Zelten, il dolce della Dea dei magici giorni del Sostizio d’Inverno.








Immagini
*1-2-3-4-6 tratte dal Web
*5 tratta dall’archivio personale

Bibliografia

*Lucillo Merci Le più belle leggende dell’Alto Adige,  Manfrini Editore 1989
*Abbazia Sant’Agostino Ramsgate Grande Dizionario dei Santi, Edizioni Piemme 1990 Pag. 754-755

Sitografia

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