Lettori fissi

domenica 26 novembre 2017

Il potere della parola



                                                            
                                                        
                                          
Vi è un mezzo, che tutti usiamo giornalmente e lungo tutta la nostra vita, che consideriamo come la manifestazione prima di libertà, la parola. Eppure in questo uso quotidiano che facciamo non siamo abili a riconoscerne la grande capacità e potenza liminale, poiché le parole rappresentano un elemento di potere e sono a tutti gli effetti soglie. Sono semi ed aprono varchi verso chi o cosa siano pronunciate, veri e propri ponti energetici di cui abbiamo perso la capacità di riconoscere l’immensa valenza. Questa consapevolezza quando la riacquisiamo, ci fa impiegare questo veicolo con ponderazione, in quanto ne comprendiamo la facoltà costruttiva quanto distruttiva o trasformativa. E quindi capiamo anche che farne utilizzo in maniera (pseudo) libera non significa necessariamente esprimere contenuti autentici. Le parole manifestano molto di noi, di quella capacità che abbiamo di sentirle e di conoscerle per usarle in modo sincero. In tempi in cui è tutto un vociare se non un urlare di persone che si sovrappongono, come ridare valore ai vocaboli, ai concetti di cui si fanno portatori ed all’energia che emanano verso chi o cosa sono indirizzati? Nel silenzio. E’ un ossimoro, ne sono consapevole, la parola del silenzio. Ma se vogliamo esprimere qualcosa di davvero nostro, dobbiamo essere ascoltatrici ed ascoltatori dei nostri dialoghi, osservare le nostre idee, attraverso quali espressioni siamo abituati ad esprimerle ed impararne a riconoscere la capacità evocativa che hanno su di noi, prima che esternamente. Poiché in primo luogo di quello si tratta, delle parole che danno voce, ma dobbiamo imparare a domandarci quanto quella voce sia davvero nostra e quanto invece ci prestiamo ad essere contenitori di altro che spesso mi domando quanto ci appartenga, se non perché ci è stato trasmesso o perché manifesta solo un’avversione a quanto ci è stato insegnato. E ciò che per significato sembra opposto ancora una volta crea l’opportunità di essere contiguo, vicino, in quel paradosso che vede negli opposti possibili complementari. Quando poniamo attenzione alla parola capiamo che il suo valore è nella nostra lucidità nel suo utilizzo. La capacità creativa o comunque trasformativa del nostro vocabolario è direttamente proporzionale alla conoscenza che abbiamo dei termini non solo da un punto di vista del significato ma anche e soprattutto per come risuonano in noi per vibrazione. Riconoscerne la vibrazione significa andare ad agire sulla propria realtà, non solo ripetendo meccanicamente dei vocaboli ma plasmandola, questo si verifica anche nelle ritualità di qualsiasi Tradizione si parli, la parola crea, apre, accoglie, scambia, muta, sigilla, e continua a risuonare sul nostro piano fisico tanto quanto sui piani sottili. Questo è il tempo dei copia/incolla, degli aforismi più diversi associati ai personaggi più impensabili, che magari non esprimerebbero o non avrebbero mai espresso certi concetti, condivisioni che vogliono essere una manifestazione di espressione propria, ma che usati in quantità rischiano solo di rendere sterile la nostra capacità espressiva. Gli aforismi che girano in rete sono attribuiti  principalmente a personalità spirituali, scrittrici, poeti, filosofi, c’è bisogno perché abbiano lustro di associarli a nomi noti, e questo da la misura di quanto, spesso ciò che viene manifestato, non ci si domanda quanto sia nostro ma quanto consenso possa ottenere. E’ lì che si perde il valore della parola, delle proprie idee e delle proprie profondità. Se condividere un concetto, un’opinione può essere interessante, farsi assorbire da una sorta di frenesia da risposta o da commento rischia di svuotare il mezzo del suo vero significato. Parimenti ho la sensazione spesso che volersi esprimere su tutto, corrisponda all’esprimersi su nulla, o meglio non permetta di manifestare qualcosa di genuino. Penso così alla parola come condensatore e come convogliatore, come spirale e come albero, due aspetti che la fanno ‘respirare’creando così quello scambio fluido che diventa non solo confronto e reciprocità ma alimento dell’anima verso cui genera e si espande e da cui trae ispirazione vitale. I lemmi diventano così via d’esplorazione che si affacciano sul potere magico delle stesse parole. Fare uso consapevole del vocabolario, significa avere spazio per accogliere ed al contempo innestarsi sulla capacità altrui di accoglienza, creare cioè l’approccio alla trasformazione esteriore ma soprattutto interiore che la parola porta con sé. La scrittrice Barbara Malaisi, nel suo ‘La magia delle parole – percorsi di etimologia evolutiva’ [1],  sottolinea come in Inglese la parola silent, sia l’anagramma di listen, e come tra le varie etimologie della parola silenzio, una la riconduca alla radice indoeuropea sl legare , che ritroviamo anche nel sanscrito sinomi-lego e nello slavo silo-laccio. Questo suffraga quanto detto più sopra, rispetto alla necessità del silenzio per creare un ascolto di noi stessi e quindi un legame con ciò che appartiene e che ci possa permettere di usare parole in modo efficace, che rappresentino nella maniera più aderente possibile ciò che vogliamo comunicare. Assomigliare alle parole che si dicono e comprenderne prima il vero significato e valenza può essere uno dei mezzi migliori per dare continuità e valore ai nostri pensieri oltre che per creare relazioni autentiche con sé stessi prima e con gli altri poi.



                                                                



Note:


[1] Pag. 27 opera citata











Immagini

*Tratte dal web

Bibliografia

*Barbara Malaisi – La magia delle parole. Percorsi di etimologia evolutiva - Ati  Editore, 2016

1 commento:

  1. Sono l'Autrice del libro citato e desidero ringraziarla per averlo inserito tra le sue interessanti riflessioni. Grazie davvero, un affettuoso saluto. Barbara Malaisi

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