Lettori fissi

giovedì 28 dicembre 2023

La Diala del Sesvenna (Kanton Graubünden-Cantone dei Grigioni, Svizzera)

 


La bellezza delle Diale era irresistibile tanto che, al loro passaggio, ogni ragazzo si innamorava perdutamente.

Vivevano nella Bassa Engadina ed in Val Monastero, nel Sursette ed in Sopraselva. Le loro dimore erano situate nelle profondità rocciose delle montagne, illuminate da gemme preziose e lucenti. La stessa lucentezza che faceva risplendere i loro abiti rosso scarlatto, bordati d’oro e guarniti di pietre rare e pregiate. Queste Donne, dotate di una bellezza celestiale e dai piedi caprini, erano benevole ed attente, sempre pronte a prodigarsi per i contadini durante la fienagione o la mietitura oppure a ricondurre sul giusto sentiero chi, perdutosi nel bosco, avesse smarrito la strada. Mai nessuna di esse, però, si era innamorata né tantomeno congiunta con un uomo.

Un giorno proprio a causa degli esseri umani, si allontanarono senza più fare ritorno. Forse era perché respingevano i loro spasimanti o forse perché abitavano antri che sembravano, ai più, inadatti a fanciulle così avvenenti e leggiadre; o forse ancora per quel loro aspetto di rara magnificenza dalla candida pelle e dai capelli del colore delle spighe dorate: fatto sta, che per taluni tutto ciò strideva tremendamente con quei loro piedi caprini. Senza contare quella curiosità mista ad invidia che portava tutto il paese a confabulare e fantasticare troppo spesso su di loro.

Loro, le affascinanti e misteriose Diale, che uscivano dalle loro spelonche al calar del Sole, nella zona boscosa della Clemgia in Bassa Engadina, scendevano giù sino ad una casetta di Vulpera e lì si sedevano a filare guardando agli ultimi raggi di luce prima del tramonto. Così facevano da tempo immemorabile e così filavano con rocca e fuso, da sempre, sedute sugli stessi massi. 

Un giorno, però, un giovanotto poco gentile le apostrofò in maniera pesante e questo le indispettì tanto che scomparvero e non si fecero più vedere da nessuno.

A Ramosc’, ogni volta che i contadini iniziavano a tagliare l’erba dei prati di Vallaina, le Diale sbucavano dalle loro caverne e si mettevano a lavorare alacremente. Inforcavano l’erba con i rastrelli ed i tridenti, la giravano e la rigiravano, permettendole così di asciugarsi ed essiccarsi. In questo modo gli uomini dovevano solo caricarsi i mucchi pronti e portarli nel fienile.

Quando i contadini si fermavano per la merenda nei campi, richiamati dalle spose che portavano loro un boccone per fare una pausa e rifocillarsi, le Diale si ritiravano, nascondendosi.

Nel Surtalai, dalla Fora (foro) da Tulai comparivano per la fienagione, guardando al Sole misuravano il tempo e a mezzogiorno preciso cessavano di lavorare. Una di loro fischiava a dare il tempo alle altre, che al richiamo recuperavano da anfratti imperscrutabili bianche e piccole tovaglie di forma quadrata sulle quali posavano focacce e frittelle profumatissime per i lavoratori dei campi, per i quali si premuravano pure di attingere acqua dalla vicina fonte.

A Sent un bovaro, dopo essersi ben cibato ed aver bevuto l’acqua fresca della fonte procurata dalle Diale, non volle ringraziare. La moglie intervenne subito: «Perché tratti così male chi ti ha aiutato nel duro lavoro, e chi si è preoccupato anche del tuo momento di riposo preparandoti cibi gustosi e nutrienti? »

L’uomo non rispose, anzi, ancor più indispettito, quasi che quel trattamento di favore gli fosse dovuto, se ne andò, irremovibile senza nemmeno una parola.

La donna, mortificata dall’accaduto, tentò di scusarsi per il marito, ma le Diale si ritennero profondamente toccate dall’accaduto tanto da non prestare più i loro servizi a nessuno. In certi giorni le si può vedere ancora nei pressi de la foura dellas Dialas, pronte ad eclissarsi non appena qualcuno tenti di avvicinarle.

Le Diale di Pratuor risiedevano fra le selve della Val Clozza, dove si sedevano su un grosso masso a detta di chi le aveva intraviste intente a cucire i loro vestiti di stoffa rossa ed a lavorare a maglia le calze per i loro piedi caprini. All’ora di pranzo il masso diveniva una grande tavola dove ristorarsi. Apparecchiavano con cura: prima la candida tovaglia di lino, poi le argentee posate. Quella tavola era offerta anche a chi, passando di lì, potesse manifestare appetito. Un giorno, però, un uomo ingrato, dopo aver pranzato, rubò uno dei cucchiai d’argento; ancora una volta le Diale si videro costrette, deluse da tanta irriconoscenza umana, a non mostrarsi più.

Presso Del nel Sursette, il crap del las Diolas ricorda l’antica dimora di queste preziose Vergini.

Sull’Alp da Munt, in Val Monastero, erano davvero molte le Diale, le quali vivevano in caverne denominate las foras dellas Diales. Durante la bella stagione aiutavano nel taglio del fieno ed in inverno uscivano al sole, sedendosi sulle rocce sgombre dalla neve per scaldarsi sotto i suoi raggi. Una mattina d’estate le Diale, visto il bel tempo che si presagiva per la giornata, si misero a fare il bucato: biancheria, lenzuola, tovaglie; tutto era candido e profumato di fresco. Stesero con cura tutta la teleria sugli ampi prati intorno alle loro grotte, ma due invidiose, gelose della loro bellezza, pensarono bene di rubare loro tutti i panni e nasconderli sotto i covoni di fieno.

Al tramonto le Diale smisero il duro lavoro nei campi (come ogni giorno si erano prodigate per dare una mano agli alpigiani) e avevano girato per ore l’ erba per farla essiccare per bene dopo che i contadini l’avevano tagliata. Tornarono, così, verso i prati di casa, dove erano sicure di avere steso i panni e dove pensavano di trovarli asciugati. Invece si accorsero che era sparito tutto e indignate dall’accaduto non fecero altro che rintanarsi nei loro anfratti, mentre il cielo si copriva di nubi minacciose, cariche di pioggia e scintillanti di fulmini. L’alpe si coprì così improvvisamente di un grigiore che anticipava una notte calata anzitempo. Una notte che vide scrosci d’acqua mossi da violente raffiche di vento come non se ne ricordavano, ma anche da tremiti sotterranei che pareva facessero crollare la montagna. Fu una notte che sembrava non finire mai. Il mattino seguente una pallida luce illuminò i prati intrisi d’acqua: le Diale erano scomparse, ma le crepe della roccia, ancor oggi visibili, ricordano gli anfratti attraverso i quali le Vergini scomparivano e dove, prima di lasciare l’alpe, colme d’ira, avevano richiamato quel terribile temporale.

******

Secondo un’altra ipotesi le Diale non partirono dopo quella notte senza fine, ma per colpa di un giovane che si era perdutamente invaghito di una di esse.

Da quanto si racconta, il giovane non dava tregua alla sua amata, passava tutto il tempo sull’Alp da Munt, nei pressi del pertugio da cui la giovane dai piedi caprini usciva, la seguiva ovunque lei andasse e la richiamava con tutte le sue migliori intenzioni, ma ella non lo vedeva e non lo ascoltava. In tal modo sperava che il giovane si stancasse ed infine rivolgesse le sue attenzioni altrove. Invece lui non accennava a desistere, tanto che, su richiesta della stessa Vergine, tre sue amiche furono invitate a parlare al ragazzo per fargli capire che la giovane di cui si era innamorato non avrebbe mai contraccambiato il suo sentimento. Lui, però, accecato da quel che provava, non voleva sentire ragione: desiderava lei e solo lei, bramava di accarezzarle i capelli, di baciarne le rosee labbra; era disposto ad attenderla, per tutto il tempo necessario, anche per anni. Le tre Diale, però, inviate a dissuaderlo dal continuare a corteggiarla in maniera tanto pressante, non ottennero risultati fino a che non gli spiegarono chiaramente che non avrebbe mai avuto opportunità di conquistarla, perché semplicemente lei non lo amava e mai lo avrebbe amato.

Il cuore del ragazzo ricevette una tale delusione che la passione, il coinvolgimento, l’infatuazione, in un attimo si trasformarono in desiderio di vendetta. Le Diale amavano tutti gli animali della montagna: marmotte, tassi, caprioli, stambecchi, camosci, cervi che, richiamati dalle loro voci soavi, si avvicinavano con fiducia. I gatti, invece, incutevano in loro un senso di insicurezza e smarrimento che le terrificava, bastava vederne uno fin da lontano per metterle in fuga.

Sapendo questo, il ragazzo scese a valle, catturò un bel gatto rosso noto per la sua malvagità e risalì all’Alp de Munt con il gatto nel sacco, che tentava in tutti i modi di liberarsi da quella trappola.

Il giovane, lieto del fatto che il gatto fosse sempre più agitato e pronto a graffiare qualsiasi cosa o persona, lo incitò ad affilare le unghie per il momento giusto.

Giunto alla grotta delle Diale, con l’inganno di un regalo per tutte loro, aprì il sacco dentro la fenditura che portava all’interno della cavità e le Diale in un istante fuggirono lasciando il gatto prigioniero nelle profondità della terra. In alcune notti di luna piena è ancora possibile udire i suoi miagolii inferociti.

******

Il pastore di capre, seduto lungo le rive di un lago, guardava l’anfiteatro montano illuminarsi istante dopo istante al sorgere del Sole, passando da un grigiore cupo a colori sempre più vivaci e luminosi. Il Sole toccò la vetta del Sesvenna che diventò d’oro.

In quel silenzio mattutino si udì un canto più soave di quello di un usignolo, di una bellezza che superava tutte le melodie del cielo e la terra. Si guardò intorno ed il suo sguardo incontrò quello di una Diala che sussultò alla sua presenza, fuggendo.

Ma oramai, come in un incanto, il cuore del giovane era stato rapito dalle rosee labbra, dai lineamenti delicati e pallidi, dai capelli lunghi e dorati; con un balzo tentò di raggiungerla mentre urlava cercando di rassicurarla, mentre la giovane spiccava salti che la portavano sempre più in alto.

I pastori di un alpeggio sul quale si saliva per l’estate avevano assistito alla scena e urlarono al ragazzo: «Non vedi che è una Diala? Non lo sai che non si innamorano mai di un uomo?»

Ma il ragazzo non voleva ascoltarli, il suo cuore colmo di amore per la ragazza dai capelli d’oro e dai piedi caprini non gli permetteva di arrendersi così.

La stessa cosa gli dissero gli uomini di un alpeggio più in alto. La situazione si stava facendo pericolosa anche perché la Diala non aveva problema a scalare le ripide vette con i suoi piedi caprini, mentre per il ragazzo mantenere equilibrio su quelle rocce scoscese stava diventando sempre più difficile e soprattutto pericoloso.

L’inseguimento era giunto sin sulla cima della montagna, dove la Regina delle Nevi aveva iniziato a muovere vorticosamente il suo manto tanto che si alzò un vento repentino che portò i primi fiocchi di neve a posarsi sulle rocce rendendo la rincorsa dei due giovani sempre più insidiosa.

Gli uomini degli ultimi pascoli assistevano a quella corsa con lo sguardo all’insù, seguendo il percorso della Diala che sulla cima saltava da una vetta all’altra, spingendosi ove possibile sempre più in alto, ed in quella che da sotto appariva quasi una danza, i corpi dei due giovani comparivano e scomparivano fra le nuvole che cingevano le creste.

Da sotto, i caprai scorsero ancora una volta la figura della Diala di rosso abbigliata sulla cima del Sesvenna, giunta oramai alle nevi perenni: poco distante, la sagoma bruna del giovane che l’aveva quasi raggiunta e poi finalmente abbracciata.

Un istante ancora e le nuvole cariche di neve si chiusero completamente, abbassandosi sui versanti rocciosi e oscurando tutto: era iniziata la tempesta.



Note

Il termine italianizzato Diala ha il suo plurale tedesco in Dialen, che può essere declinato sempre al singolare in Diela. Lo stesso termine ha la sua variante plurale in Dialas, Dielas, Dieuldas. L’origine del nome è retoromanza, Cultura alla quale appartiene questo Demone femminile, e deriva da Dealis, Dialis ovvero “creatura simile a una Divinità”.

Sono Spiriti fondamentalmente benevoli ma, se offese, oltraggiate, maltrattate, diventano irate e foriere di tempo infausto.

La loro natura è quindi duplice come i loro tratti “di bellezza celestiale e di piede caprino”: i due attributi le delineano come figure che, proprio in qualità di Demoni, si pongono in una dimensione a cavallo fra il Divino-Cielo, appunto, e l’Umano-Terra.

In loro, quindi, coesistono le fattezze di un aspetto e dell’altro: la bellezza divina, da una parte, il piede caprino, visceralmente ctonio, dall’altraQuesta loro natura si palesa anche nel fatto che non si innamorino mai, né tantomeno si uniscano mai ad un uomo.

Conoscono il lavoro della terra e la mietitura e sono lavoratrici instancabili, dedite anche al rifocillamento dei contadini. Sono molto discrete, tanto che quando le mogli degli alpigiani si avvicinano, loro si nascondono alla vista.

Apparecchiano “tavole” su massi sgombri dalla neve con candide tovaglie e posate o, in alternativa, piatti in argento; essere invitati ad un loro banchetto è sinonimo della grande disponibilità e benevolenza da parte loro.

In estate asciugano il loro bucato candido, stendendolo su alcuni altopiani solatii; aiutano chi ha smarrito la strada nel bosco a ritrovarla, e, in alcune versioni delle loro storie, regalano del carbone che poi si trasmuterà in oro.

Vivono in anfratti e spelonche che rivelano al loro interno ricchezza e magnificenza, la stessa che ritroviamo nei loro abiti adornati di gemme e pietre preziose. I loro colori sono il bianco ed il rosso.

Conoscono l’arte della filatura.

Le tre versioni della leggenda riguardante le Diale hanno sempre lo stesso finale, cioè le Diale che scompaiono per sempre, e sempre ad opera umana.

Il Sesvenna è montagna che sorge sul confine fra l’area del Cantone Graübunden-Grigioni e la Vinschgau-Val Venosta, motivo per cui questo Demone tocca anche la Tradizione sudtirolese.

Questa “Fata” viene segnalata anche nelle valli dolomitiche del Trentino.




Immagine

* Creata con A.I.

Bibliografia

* Garobbio Aurelio, Leggende dei Grigioni, Licinio Cappelli Editore-Bologna 1954

* Raffaelli Umberto, Leggende, fiabe e figure immaginarie delle Dolomiti, Editoriale Programma 2019

* Petzoldt Leander, Kleines Lexicon der Dämonen und Elementargeister, C.H.Beck 2014




martedì 26 dicembre 2023

Le stele funerarie con iscrizioni lepontiche di Davesco e Mesocco (Cantoni Ticino e Grigioni Italiano, Svizzera)

 


In Canton Ticino sono state ritrovate diverse stele con iscrizioni risalenti al Periodo La Tène, ed è proprio da questa Regione che arriva una delle due presenti nel Rätisches Museum-Museo Retico di Chur-Coira.

1. Le due stele così come sono posizionate oggi al Rätisches Museum-Museo Retico di Chur-Coira

Di queste due preziose stele, che sono disposte una di fianco all'altra, quella di nostro interesse è quella posta a destra, la più grande sia in altezza che in larghezza, che proviene precisamente da Davesco-Soragno, quartiere inglobato, a partire dal 2004, nella città di Lugano. Fu acquistata dal fondatore del Rätisches Museum, Peter Conradin Von Planta nel 1874. 

La stele fu ritrovata fortuitamente durante lo sradicamento di un albero di noce nel 1813. Giaceva in posizione orizzontale apparentemente a circa un metro di profondità nei pressi di un vigneto di proprietà privata, non lontano dalla chiesa di San Bartolomeo. Emerse insieme a numerosi resti ossei successivamente identificati come umani.

Nel 1849 un documento attestò che l’iscrizione, costituita da grafemi poco profondi e alti 12 cm, era scolpita su pietra di micascisto grigio che presentava similitudine con la pietra locale. Le sue dimensioni rettangolari sono: massima altezza 180 cm, massima larghezza 56 cm e massima profondità 20 cm. Il suo periodo di appartenenza risale al Golasecca III A, presumibilmente fra il V ed il IV sec. a.C. in base alle ultime analisi condotte nel 2021 da Corinna Salomon, sebbene il Rätisches Museum mantenga la dicitura che ne colloca la produzione dal V al I sec. a. C.

Il reperto porta doppia iscrizione verticale che si legge sempre da destra a sinistra, la quale è:

«slaniai:verkalai:pala/tisiui:piuotialui:pala», che significa «tomba per Slania Verkala, figlia di Verkos/tomba per Tisios Pivotialos, figlio di Pivotios».


2. Stele di Davesco-Soragno

******

Il secondo ritrovamento ci parla della lastra trapezoidale di gneiss, scoperta, nel 1885 a Mesocco, nella Valle della Moesa durante i lavori di costruzione di una strada. 

Due le ipotesi di ritrovamento: per Peter Conradin Von Planta, che curò la prima pubblicazione riguardante il ritrovamento, la Anzeiger für schweizerische Altertumskunde, la stele fu ritrovata a Mesocco non lontano dalle rovine del castello, ed effettua un distinguo dal luogo corrispondente al ritrovamento di tombe gallo-romane segnalate (sempre, nella stessa edizione); per Filippo Della Casa, invece, mentre il luogo delle sepolture sarebbe collocabile nell’area di Anzone-Brecca, risalente alla Tarda Età del Ferro, invece, il luogo di ritrovamento della stele corrisponderebbe a Campogrande, area a sud della contrada Benabbia, nei pressi del Colle Gorda, dove sorse un insediamento risalente al Medio e Tardo La Tène. 

La forma della stele è rastremata, le sue dimensioni sono 70 cm di altezza per 28 cm di larghezza alla base e 20 cm nella parte superiore. L’ipotesi più accreditata è che fosse a copertura di qualche tomba, anche se non è da escludere che potesse servire da stele al pari di altre, prive però di iscrizioni, ritrovate prive di iscrizioni nelle necropoli di Gudo e Locarno. 

L’iscrizione in linee verticali, riferibile all’Età del Ferro e più precisamente ad un periodo che si può collocare tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C., recita (sotto la scritta posta in orizzontale):


«Raneni/Ualaunal» ovvero «tomba di Ranenos Valaunal figlio di Valaunos[?]».

3. Stele di Mesocco


Bibliografia

* Erb Hans, Das Rätische Museum, ein Spiegel von Bündens Kultur und Geschichte, Stiftung Rätisches Museum 1979

* Duval Paul-Marie-Eluère Christiane, Les Celtes, Edition Gallimard 2009

Fonti locali

*Rätisches Museum-Museo Retico

Sitografia

Cfr. Das Rätisches Museum-Il Museo Retico di Chur-Coira, (Kanton Graubünden-Cantone Grigioni, Svizzera)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/12/il-ratisches-museum-museo-retico-di.html

* Cfr. Reperti e ritrovamenti, dalle Età dei Metalli ai Celto-Reti. Il piano interrato del Rätisches Museum-Museo Retico di Chur-Coira (Kanton Graubünden-Cantone Grigioni, Svizzera)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/12/reperti-e-ritrovamenti-dalle-eta-dei.html

* Cfr. Le Necropoli di Castaneda, Mesocco-Coop e Santa Maria in Calanca testimonianze e reperti della varietà culturale durante l’Età del Ferro (Cantone Grigioni italiano, Svizzera)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/12/le-necropoli-di-castaneda-mesocco-coop.html

*Manmon. Antiche Scritture del Mediterraneo

https://mnamon.sns.it/

* Lexicon Leponticum

https://lexlep.univie.ac.at/wiki/Main_Page

*Città di Lugano

https://www.lugano.ch















lunedì 25 dicembre 2023

Le Necropoli di Castaneda, Mesocco-Coop e Santa Maria in Calanca testimonianze e reperti della varietà culturale durante l’Età del Ferro (Cantone Grigioni italiano, Svizzera)



1. Castaneda

1.1 Il ritrovamento

Le prime tracce di sepolture a Castaneda, in Val Mesolcina nel Grigioni italiano e riferibili al Primo Periodo La Tène furono scoperte già a cavallo del 1878. Varie esplorazioni erano già state condotte, infatti, tra la fine del XIX secolo ed il 1929 e le campagne di scavi avevano permesso il ritrovamento di centinaia di oggetti, spesso andati precedentemente perduti poiché finiti in collezioni di privati all'estero, le quali, poi, entravano spesso a fare parte delle raccolte di Musei come quelli di Berlino o di Brawnschweig nel Land della Bassa Sassonia in Germania, oppure in Italia, Francia e Stati Uniti. Sono pochi i reperti che, a dispetto della quantità di ritrovamenti originari, sono oggi custoditi nel Rätisches Museum-Museo Retico di Coira.

Non c'è da stupirsi di tanta dispersione se negli scavi e nelle ricerche sulle più di cento tombe esplorate almeno sino al 1903 non fu affiancato un reale metodo scientifico: i reperti non furono infatti inventariati e finirono accantonati senza riferimenti precisi e senza che nemmeno si sapesse né a quale tomba appartenessero né come fossero disposti all’interno delle sepolture.

Un abitante di Castaneda, nel febbraio 1928, scoprì nuove tombe e a questo punto il Rätisches Museum-Museo Retico di Coira organizzò la prima esplorazione sistematica della necropoli dal 1929 al 1931 con Walo Burkart1 alla direzione dei lavori.

1.2 Dalla Cultura di Canegrate ai Leponti

All’epoca quest’area sud-occidentale del Grigioni fu abitata dai Leponti che abitavano anche la Val Bregaglia e la Val Calanca. In queste aree già nella Tarda Età del Bronzo compaiono i segni della Cultura ticinese-lombarda di Canegrate, che lasciò poi nell’Età del Ferro spazio alla Cultura di Golasecca attestata attraverso la presenza di ricchi reperti soprattutto di ambito tombale, con sepolture sia ad incinerazione che ad inumazione. La necropoli di Castaneda ha offerto il ritrovamento di fibule e pendenti, collane d’ambra, situle, vasi in terracotta e legno ed anche contenitori in bronzo così come quella di Cama. Anche la necropoli di Mesocco ha regalato ricchi ritrovamenti di corredi funebri.

1.3 La necropoli

Nel 1935, durante la posa di una condotta idrica a Castaneda sopra il campo di scavo del 1932 e ad ovest della chiesa, degli operai scoprirono i resti di quattro sepolture intatte risalenti a più di duemila anni fa.

Fra i ritrovamenti particolare menzione merita un boccale a becco (di cui parlerò più tardi) che fortunatamente non fu venduto poiché custodiva, nella sua parte più prominente, un’iscrizione che risulta essere la più antica testimonianza scritta del Grigioni, evidenziando come fra le varie conquiste dell’Età del Ferro vi fu anche la scrittura. 

La necropoli di Castaneda comprende al suo interno fino a duecentocinquanta camere funerarie in pietra databili dal VI al III secolo a.C. riconducibili ad esclusive sepolture ad inumazione. Le immagini che seguono, di proprietà dell’Archäologischen Dienst Graubünden-Servizio Archeologico del Grigioni, ci illustrano come le sepolture siano state ritrovate sotto gran parte dell’attuale borgo, fra i campi, le abitazioni odierne ed il cimitero e mostrano come fra i ritrovamenti vi siano state anche tombe di bambini.

Dalla disposizione delle sepolture e dal ritrovamento di un sasso divisorio conficcato a 40 cm. sotto il livello del terreno, si è giunti alla conclusione che l’area ove sorge la necropoli sia stata divisa tra famiglie e che le stesse si occupavano della sepoltura dei propri membri.

Le tombe erano sempre delimitate da pietre dritte o da muretti a secco e, delle numerose ritrovate, nessuna ha restituito resti dei defunti che vi erano stati tumulati, ciò a causa delle peculiarità acide del terreno. Nessuna tomba aveva un fondo lastricato che invece era coperto di ghiaia grossa, ogni sepoltura veniva coperta sulla sommità da lastre di pietra che, poste come coperchio, fungevano da chiusura. Sulle tombe degli adulti, le lastre erano posizionate, in doppio o triplo strato, mentre i bambini erano sovrastati da un solo piano litico.

I corpi erano sepolti senza una cassa a custodirli, si presentavano semplicemente allungati e stesi sul dorso. In tutte le tombe femminili ed anche in parecchie altre, la testa poggiava su una tavola di legno su cui si creava una sorta di rivestimento a base di muschio di cui si è trovata traccia, a riprova che i defunti venivano adagiati con il capo su un cuscino di borraccine. I morti sono sempre vestiti e orientati in maniera variabile, nonostante ciò si è notato che la direzione più usuale sia NE-SO. 

1.4 Il corredo funerario

Ogni tomba ha permesso il ritrovamento di corredi funerari degni di nota. Tra i vari ritrovamenti, qui di seguito i più frequenti:

- Fibule. Utilizzate sia come spille di sicurezza sia come ornamenti, erano di diversa foggia: fibule a sanguisuga, fibule Certosa, fibule La Tène. Le prime due erano esclusivamente in bronzo, l’ultimo tipo poteva essere anche in ferro. La posizione delle fibule nelle tombe non è unitaria, sebbene nella maggior parte dei casi siano state ritrovate all’altezza di collo e petto, usate per fissare l’ultimo abbigliamento del defunto. La loro datazione è sicura e va dal periodo anteriore il primo IV sec. a. C. sino alla metà del III sec. a. C. , collocandosi in uno spazio temporale di massimo 200 anni. Questo corrisponde all’ultima fase della prima Età del Ferro.

- Orecchini. Creati in bronzo, mostrano diametri importanti sino ai 12 cm., muniti di perle d’ambra che possono essere anche doppio coniche, più raramente le stesse perle possono anche essere in vetro.

- Bracciali. In bronzo, potevano essere chiusi o aperti; questi ultimi erano forgiati a rappresentare una spirale la cui testa spesso era modellata a forma di serpente.

- Anelli. In bronzo come i bracciali, chiusi o aperti ed anche in questo caso laddove erano aperti richiamavano la forma di spirale.

- Collane. Anch’esse fatte con perle di ambra e/o vetro. Talvolta anche con anellini di bronzo che si alternavano alle perle di cui sopra.

- Cinture. In bronzo ed in ferro, spesso rinvenute con annesse fibre di tessuto dei vestiti dei defunti.

- Armi. Un solo ritrovamento: una spada in ferro, rinvenuta durante gli scavi del 1899 e custodita al Museo Retico di Coira. Le tombe maschili, anche di bambini ed adolescenti, includono sempre un coltello, da non considerarsi arma bensì oggetto di uso domestico.

1.5 Testimonianze di usi rituali

Accanto agli oggetti personali di cui abbiamo dato descrizione, i corredi funerari includevano anche altri elementi che richiamano a forme di culto pagano, appartenenti a queste popolazioni e anche altri di gran lunga più antichi.

I defunti non erano accompagnati solo da oggetti che potevano aver utilizzato in vita, ma anche da offerte poste su un asse disposto perpendicolarmente rispetto al corpo, in generale all’altezza dei piedi. Tale asse sorreggeva vasi in bronzo e terracotta che avevano lo scopo, con il loro contenuto, di accompagnare il defunto nell’oltretomba. Fra le chiare offerte rituali nei vasi di bronzo ritroviamo miglio e nocciole, mentre i vasi in terracotta, contenevano probabilmente liquidi a noi non pervenuti. Un boccale, inoltre, conteneva una crosta nera di provenienza organica che però non è attribuibile ad alimento alcuno. In un'altra tomba, all’interno di una tazza di legno era contenuta una sostanza blu non riconducibile ad una bevanda ma bensì a del lapis, con la stessa polvere blu sparsa tutt’intorno il cadavere. Il lapis arrivava da Andeer, attraverso il San Bernardino, che a differenza del San Gottardo era ben conosciuto dalle antiche popolazioni della zona e non solo. Il colore blu era utilizzato come talismano contro i cattivi spiriti: è lecito quindi pensare che cospargere la tomba ed offrire in una tazza del lapis corrispondesse ad un viatico per l’aldilà contro spiriti malvagi e che fosse utilizzato per garantire al defunto una protezione anche nel percorso verso la seconda vita.

Dobbiamo ancora fare menzione di alcune tombe, peraltro vicine, a quelle precedentemente descritte, accomunate da una peculiarità: in queste tombe, infatti, i defunti erano tutti corredati di un ciondolo in bronzo a forma di cestino e, in una di queste, il piccolo cestino era ricolmo di miglio, come ad emulare il contenitore bronzeo posto ai piedi del defunto. Questa particolarità rappresenta la testimonianza di un rito funerario rintracciabile già nell’Antico Egitto faraonico con tracce di pani avvolti in bende, e semi di frumento trovati fra le dita delle mummie.

Il culto dei morti nella zona e quindi anche a Castaneda, si collega ad una tradizione che includeva, per ogni tomba, la creazione di una fossa profonda riempita di carbone di legna contenente pezzi di terracotta, il tutto riconducibile ad un rito del fuoco.

1.6 Immagini delle campagne di scavo e ricostruzioni del Rätisches Museum-Museo Retico di Chur-Coira


1. L’area contrassegnata indica quella occupata dalla necropoli rispetto all’odierno insediamento di Castaneda



2. Gli scavi del 1929 quando emersero le prime tombe


         3. Tomba ricoperta con una sola lastra di pietra, dalle dimensioni sembra la tomba di un bambino


4. Parte superiore di inumazione femminile con corredo funerario: orecchini, collana e due fibule a fissarne le vesti

5. Altra inumazione femminile con ben visibili orecchini, collana e spille

6. I reperti funerari ritrovati hanno permesso la ricostruzione grafica dell’abbigliamento sia di donne che di uomini. La riproduzione dell’immagine dell’uomo richiama l’abbigliamento maschile tra il 450 ed il 250 a.C.

7. I ricchi corredi femminili hanno invece permesso la ricostruzione di un abbigliamento di donna compreso tra il 430 ed il 380 a.C. 

1.7 L’antico villaggio

Sempre a Castaneda si è anche scoperto l’antico villaggio coevo alla necropoli, costituito da case in pendenza a circa centocinquanta metri dalla chiesa. Le abitazioni, numerose, non differivano granché da quelle del Bronzo e riprendevano un modello tipico delle popolazioni germaniche nelle quali la calce non era ancora in uso, ovvero generalmente di forma tonda, in legno, formate da canne poi rivestite di argilla e ricoperte di paglia. La certezza che tali abitazioni siano contemporanee degli occupanti della necropoli è data dal ritrovamento di resti fittili nel materiale archeologico.

1.8 La brocca a becco (Schnabelkanne) con iscrizione in alfabeto leponzio

La rilevante scoperta relata alla necropoli in questione è data dall’iscrizione della brocca a becco rialzato (Tomba 53) di cui ho accennato prima, che si presentò molto deteriorata agli archeologi eccetto che nella parte dell'iscrizione. La sua unicità consiste nel fatto che la brocca, prodotta originariamente nell’Italia centrale, rappresenta la prima scritta di cui si abbia traccia nel Grigioni. 

Questo tipo di brocca, risalente al V-IV sec. a. C., che gli archeologi chiamano con denominazione internazionale Schnabelkanne, è scritta in caratteri leponzi con ogni probabilità appartenenti all’ “Alfabeto di Sondrio”, che si legge da destra a sinistra, ed è incisa con punta tagliente ad occupare tutta la larghezza del becco. Il significato della dicitura è ancora controverso: verosimilmente, porta il nome del creatore della brocca stessa «Gusos ha creato [questa brocca]»

8.9. Brocca "Schnabelkanne" di Castaneda


10. 11. L'iscrizione sul becco


12. L' incisione disegnata distesa (da leggere da destra a sinistra)

1.9 Altri reperti di corredi funerari

      1.9.1 Tomba 6, V-IV sec. a. C. 


13. Reperti Tomba 6, V-IV sec. a.C. 

Riferimenti numeri relativi agli oggetti dell'immagine

6. Fibula tipo La Tène

7. Fibule a sanguisuga

8. Orecchini con perle d’ambra

9. Anelli da dito e accessori di fibbie

10. Perle d’ambra


       1.9.2 Tomba 68


14. Collana in ambra

2.Mesocco-Coop/Benabbia

Nel 1969, durante gli scavi per la costruzione del supermercato Coop a Mesocco sono state rinvenute sedici tombe sia ad inumazione che ad incinerazione riferibili cronologicamente al VI-V sec. a.C.

Tutte le tombe disponevano, anche in questo caso, di ricchi corredi, fra i reperti importanti una situla ed una cista a coste.

2.1 Reperti funerari tombe varie


15.Vaso fittile tornito e dipinto VI-V sec. a.C. (Tomba 6)

16. Cista a coste VI-V sec. a. C. (Tomba 71)

17. Situla VI-V sec. a.C. (Tomba 11)

Per quanto riguarda Benabbia, ed in particolare la sua stele, si veda l’articolo riportato nella sitografia. La frazione di Mesocco ha permesso il ritrovamento di reperti che rivelano la presenza di un’ estesissima necropoli sull’altipiano di Gorda e che fu utilizzata per un periodo molto vario, con riferimenti che vanno dalla Cultura Leponzia a seguire quella romana, longobarda, carolingia e quindi feudale.


3. Santa Maria in Calanca

Nel 1937 e nel 1968 nel villaggio furono scoperte diverse sepolture risalenti all'Età del Ferro e romane. Tra quelle dell'Età del Ferro spicca la Tomba 6, una sepoltura del La Tène Medio con orecchini, fibule, una collana di perle di ambra e vetro e ceramiche.

3.1 Reperti di corredo funerario Tomba 6


19. Reperti di corredo funerario

Riferimenti numeri relativi agli oggetti dell'immagine

4. Ciotola

5. Contenitore bottiglia in argilla

6. Perle in vetro e ambra

8. Anello in bronzo

9. Fibule, La Tène Medio

10. Fibule a coda di granchio

11. Vaso a trottola, I° sec. a. C. Ritrovamento, presumibilmente di tomba, Santa Maria in Calanca-Casa Turconi


20. Reperto di corredo funerario

7. Orecchini con perle d’ambra


Conclusioni

I ritrovamenti delle necropoli in oggetto forniscono uno spaccato ben preciso sia della pratica delle inumazioni nel suo processo e nella modalità che dei rituali legati alle sepolture del periodo La Tène nella zona considerata. La defunta o il defunto non solo era accompagnato da una serie di oggetti che aveva usato in vita, ma il ritrovamento di una tazza con del lapis ci offre anche la visione di una pratica di protezione da spiriti malvagi che potevano ostacolare il passaggio e percorso nell’Oltretomba. I reperti constano di contenitori vari e ciste, ornamenti personali quali collane, orecchini, bracciali e soprattutto di numerose fibule, la cui forma delinea momenti storici ben precisi. La brocca a becco, denominata archeologicamente “Schnabelkanne” di Castaneda rappresenta un unicum, in quanto è l’oggetto con iscrizione più antico del Grigioni: la scritta è riconducibile, infatti, all’ “Alfabeto di Sodrio”, una particolare variazione di Lepontico che si legge da destra a sinistra. Questo tipo di brocca a becco è un tipo di contenitore ritrovato frequentemente nei siti La Tène, sebbene questo modello non sia esclusiva di questo periodo. 


_________

1 La figura di Walo Burkart (Magden 25 aprile 1887 – Chur 28 novembre 1952) è cruciale in tutta la scoperta e ricerca dell’area del Canton Grigioni. Nato in Argovia prese il diploma superiore iscrivendosi successivamente all ‘ETH Zürich, università tecnico-scientifica nata nel 1855 sulla falsariga dell’École Politecnique de Paris, divenendo guardia forestale a partire dal 1916, mentre dal 1927 iniziò a cercare reperti archeologici in tutto il Cantone, sue le scoperte e le descrizioni di quaranta siti archeologici preistorici. Fonte: de.Wikipedia.org 



Immagini

* Tratte dall’archivio personale laddove con firma filigrana

* Tratte dal Archäologischen Dienst Graubünden-Servizio Archeologico del Grigioni: 1,2,3,4,5,6,7, 10, 11

* Tratta da Burkart Walo, Die Schnabelkanne von Castaneda (1938) : 12


Bibliografia

* Erb Hans, Das Rätische Museum, ein Spiegel von Bündens Kultur und GeschichteStiftung Rätisches Museum 1979

* Duval Paul-Marie-Eluère Christiane, Les Celtes, Edition Gallimard 2009


Fonti locali

* Rätisches Museum-Museo Retico Chur-Coira


Sitografia

* Cfr. Das Rätisches Museum-Il Museo Retico di Chur-Coira, (Kanton Graubünden-Cantone Grigioni, Svizzera)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/12/il-ratisches-museum-museo-retico-di.html

* Cfr. Reperti e ritrovamenti, dalle Età dei Metalli ai Celto-Reti. Il piano interrato del Rätisches Museum-Museo Retico di Chur-Coira (Kanton Graubünden-Cantone Grigioni, Svizzera)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/12/reperti-e-ritrovamenti-dalle-eta-dei.html

* Historisches Lexikon der Schweiz (HLS)-Schweizer Geschichte 

https://hls-dhs-dss.ch/de/

*Bibliotek der Universität Zürich

https://www.ub.uzh.ch/de.html


Articoli e monografie on line

* Bassetti Aldo, La civiltà del ferro nella Svizzera Italiana con speciale riguardo a Castaneda preistorica1944-n.4 Quaderni grigionitaliani Ann.13

* Boldini R. Intorno alle recenti scoperte archeologiche in quel di Mesocco1968-n.37 Quaderni grigionitaliani

* Burkart WaloLa necropoli e l'abitato preistorico Castaneda di Calanca1932 Pro Grigioni Italiano-Quaderni grigionitaliani

* Burkart Walo, Die Schnabelkanne von Castaneda, (Zeitschrift: Anzeiger für schweizerische Altertumskunde : Neue Folge), 1938

* Burkart Walo, Appunti archeologici sul comune di Mesocco (Archäologisches aus der Gemeinde Misox-Bündnerisches Monatsblatt : Zeitschrift für bündnerische Geschichte, Landes-und Volkskunde), 1941-1942

* Primas MargaritaBemerkungen zu den Siedlungsfunden von Castaneda GR, 1976-Band 59 Jahrbuch der Schweizerischen Gesellschaft für Ur-und Frühgeschichte Annuaire de la Société Suisse de Préhistoire et d'Archéologie Annuario della Società Svizzera di Preistoria e d'Archeologia

Uscita di Culturaltura e Associazione archeologica ticinese 12 giugno 2021


Videografia

* Pro Grigioni Italiano, «Tracce del passato»L'Età del Bronzo e l'Età del Ferro

https://www.youtube.com/watch?v=bUnhw5nADtU&ab_channel=ProGrigioniItaliano